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Mum's Life

Le emozioni: la chiave segreta per la crescita (e per l’apprendimento)

02/10/2023

Veronica Togni, educatrice, supervisore, esperta in Dsa, con il suo nuovo libro racconta come e perché investire sulla sfera emotiva. E in questa intervista spiega come accorgersi se nostro figlio ha difficoltà a scuola 

Siamo proprio sicuri di dare il giusto peso alle emozioni dei nostri figli? Sui social, a scuola, in famiglia, pare che lo stato emotivo dei nostri figli sia al centro dell’attenzione già da qualche anno, ci occupiamo e preoccupiamo che stiano bene, felici, in equilibrio, che tra i banchi siano sereni, che nello sport riescano senza stress. Dall’altra parte, cresciamo i figli a pane e competizione, perché devono essere bravi, educati, diligenti, i più forti a pallavolo o a basket, e nel tempo libero cadiamo nella trappola dei dispositivi: da bambini il tablet al ristorante fa comodo per guardare i cartoni e farci pranzare in pace, da adolescenti iniziano le restrizioni perché “stai sempre con il telefono in mano”, e facciamo pure fatica a mandarli a scuola da soli alle medie. Contraddizioni. Veronica Togni (su Ig veronica__tognieducatrice, supervisore, esperta in Dsa ( disturbi specifici dell’apprendimento) e difficoltà scolastica, ha scritto un libro che ogni genitore dovrebbe leggere

 

Si chiama Educare alla mente educando il cuore (Red edizioni) e spiega non solo queste contraddizioni, in una società iperperformante che spinge i genitori a chiedere l’impossibile ai figli, ma anche quanto le emozioni siano determinanti per la crescita. «Emozioni e apprendimento viaggiano insieme: come la ricerca scientifica ha ormai appurato, le nozioni si fissano nel cervello insieme alle emozioni, le quali, a loro volta, influenzano in modo diretto le funzioni cognitive di comprensione, memoria, attenzione. Perciò il processo di apprendimento per dare buoni risultati dovrebbe sempre essere sostenuto da emozioni positive, che generano nel bambino un senso di autoefficacia. Non solo gli insegnanti, ma anche i genitori possono fare molto per creare un contesto favorevole». L’abbiamo intervistata per farci dare qualche dritta sul perché serve investire sulle emozioni, e insieme capire come accorgersi di eventuali disturbi dell’apprendimento e difficoltà scolastiche

 

L’INTERVISTA 

Perché un libro sull’importanza delle emozioni?
Oggi le famiglie normative hanno lasciato il passo alle famiglie affettive, tuttavia se si osserva realmente quello che sta accadendo attorno a noi è che molto, troppo spesso, bambini e ragazzi sono iperinvestiti di aspettative e responsabilità e non realmente ascoltati. Se si osservano le statistiche sono in forte aumento i disturbi d’ansia. Mi occupo di emozioni e scuola perché la corrente della warm cognition (apprendimento caldo) è ancora ben poco conosciuta anche dai professionisti del settore. All’interno delle classi i bambini vengono, a volte involontariamente altre no, messi in competizione già da piccolissimi non sostenendo realmente la curiosità e l’amore per l’apprendimento. Ipervalutati con i voti, si lascia poco spazio a un’analisi autonoma del: ‘a che punto sono del mio apprendimento’.

 

Scrive: «I nostri figli stanno cercando di farci capire in tutti i modi che qualcosa non funziona. Gli dobbiamo allora il favore di aprire gli occhi, smettendo di trattare i bambini come piccoli adulti e gli adolescenti come lattanti». In che cosa noi genitori stiamo sbagliando, o che cosa non comprendiamo?
Trovo che con l’ampia divulgazione e l’invito alle famiglie ad un approccio educativo empatico, siamo finiti per diventare lassisti verso il ruolo educativo che dobbiamo ricoprire. Tra le molte persone che vedo e che mi contattano per una consulenza o tutoraggio, mi ritrovo dinanzi a genitori che svolgono più un ruolo di amico e confidente che di adulto autorevole. Di fronte a un figlio piccolo, viene dato loro ampiamente ascolto, coinvolto in decisioni che non dovrebbero appartenergli, vestito come piccolo adulto, accesso ai device (ad esempio a tavola) perché fa comodo all’adulto. Poi, una volta cresciuti, si torna a repertori appartenenti al passato e i ragazzini vengono trattati come fossero bambini, possono uscire al centro commerciale solo se accompagnati dai genitori, ai device ora ci stanno troppo mentre prima potevano guardare youtube al ristorante e così via. Messaggi e modelli confusi non fanno bene.

 

In che modo dare supporto emotivo al bambino, permettendogli di esprimere le emozioni e guardandole come una ricchezza, non un problema?
Deve essere prima di tutto l’adulto in grado di stare nella frustrazione, nella sofferenza e nelle emozioni che non risultano sempre facili. Quando l’adulto avrà una buona alfabetizzazione emotiva ed una buona autoregolazione, allora si potrà auspicare ad un efficace accompagnamento alle emozioni dei bambini. 

 

 

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Emozioni e apprendimento viaggiano insieme: è questo il tema centrale del suo libro. In che modo le emozioni condizionano l’apprendimento?
In tutto. Bisogna pensare che durante ogni cosa che facciamo l’essere umano prova delle emozioni. Le emozioni si trascrivono per prime nella memoria autobiografica e se durante l’apprendimento il bambino prova noia, paura, senso di colpa, sarà esattamente quella l’emozione che verrà riattivata quando ripenserà a quell’argomento appreso. 

 

Anche la scuola ha una grande responsabilità in termini di emozioni? 
Assolutamente sì. Ancora oggi, nonostante la ricerca abbia dimostrato come le emozioni siano costantemente presenti nella vita di ciascuno di noi, i più trattano l’esperienza scolastica come una questione squisitamente cognitiva e considerano come separate la sfera razionale e quella emotiva. In verità, nulla di ciò che viviamo è esente dalle emozioni. La scuola dell’infanzia, primaria e le secondarie, sono i luoghi in cui bambini e ragazzi trascorrono la maggior parte del loro tempo, è necessario che tutti quanti quindi sappiano la grande responsabilità che hanno: con il mio libro spero d’esser riuscita a comunicare proprio questo.

 

Le emozioni sono ancora un tabù? O visto che ormai se ne parla parecchio negli ultimi sono più “libere”?
Il fatto che se ne parli tanto, di emozioni, non è purtroppo sintomo di un miglioramento. Molto spesso si resta a livelli superficiali anche nella divulgazione e lo sguardo è rivolto alla soluzione di problemi immediati, piuttosto che come investimento per il futuro. Nella scuola poi, siamo indietro anni luce: non è un caso se l’Italia è uno tra i paesi con la percentuale più alta di dispersione scolastica, e la causa non è esclusivamente socioeconomica.  

Viviamo in una società super performante, individualista, le aspettative nei confronti dei figli sono altissime. Come correre ai ripari per far vivere in modo più sereno bambini e ragazzi?
Tenendo in mente l’aspetto più importante: i successi e i fallimenti dei nostri figli sono i loro, non i nostri.

 

È appena iniziato l’anno scolastico: che cosa fare per rendere l’ambiente familiare favorevole all’apprendimento?Accompagnando i bambini all’autonomia, ritagliando uno spazio a loro dedicato, che sia facilmente accessibile. I compiti devono essere svolti in luoghi con meno distrazioni possibili. È possibile aiutarli con rituali di apertura e chiusura: ad esempio, con la mia bimba prima di cominciare i compiti accendiamo una candelina che teniamo sul tavolo dove svolge l’attività. Quando li ha terminati, la spegne, sancendo la fine del compito.

Lei è esperta in DSA e difficoltà scolastiche: come accorgersi se nei bambini c’è qualcosa che non va?
I docenti sono i primi che osservano e segnalano se qualcosa non va. Il genitore è bene che guardi se il bambino arriva a casa felice, o se al contrario sembra essere triste, si percepisca incapace e così via. Queste manifestazioni devono avere caratteristica di continuità: gli inciampi e la frustrazione con qualche dose di tristezza sono normali, non deve diventare prassi quotidiana.

Che cosa pensa dell’aumento delle diagnosi degli ultimi anni?
I DSA esistono, mi trovo a metà tra il sorridere e il disperarmi quando sento insegnanti che dicono che i DSA non esistono. Tuttavia credo che vi sia un’ipervalutazione e che talvolta si rivela sbagliata. Una volta a una bambina anche avevo seguito per un potenziamento per la dislessia, alla rivalutazione risultò che non lo era: venne detto ai genitori che era ‘guarita’, come se i DSA fossero un’influenza.

 

 

 

Quale età è quella giusta per sottoporre una persona ad un test diagnostico per i DSA?
Dipende dal tipo di valutazione che deve essere fatta. La dislessia può essere valutata alla fine della seconda classe primaria, discalculia e disgrafia a termine della terza classe primaria.

Succede che la segnalazione che qualcosa non vada arrivi dalla scuola, dalle maestre: che cosa devono fare i genitori, quale l’iter da seguire per avere una certificazione e un eventuale supporto scolastico?
Per la valutazione bisogna rivolgersi ai centri di Neuropsichiatria infantile. Spesso è possibile chiedere aiuto al proprio pediatra, spesso alcuni iter si differenziano in base alla regione e non tutte le certificazioni sono riconosciute dalla scuola in egual modo. 

Molti genitori vanno in tilt a fronte delle difficoltà scolastiche dei figli, a volte rifiutano l’idea che possa avere disturbi specifici di apprendimento.
Purtroppo questo può accadere per diversi motivi. Può essere legata alla non conoscenza del mondo dei DSA, e il genitore può sentirsi divorato da paure sul cosa ne sarà del proprio figlio, che tipo di mestiere potrà svolgere se scolasticamente fa fatica e così via. Altre volte può essere legato alla paura che il bambino/ragazzo soffra, si senta diverso eccetera.. che cosa diranno gli altri e così via. Si torna al discorso dell’iperinvestimento, le fatiche dei nostri figli come nostre. Bisogna invertire la rotta.

Ha scritto su Instagram che avrebbe voluto far leggere il suo libro alla sua insegnante di matematica, ma anche al prof d’inglese e a quello di fisica: perché?
Questi docenti sono stati quelli che più mi hanno fatto star male durante la mia carriera scolastica. Non solo me, ma anche moltissimi dei miei compagni di classe. E sa una cosa? Lo leggeranno, perché glielo regalerò!

 

Articolo di Benedetta Sangirardi

 

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