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Mamme full time: pro o contro ad uno stipendio per chi sceglie di fare la casalinga?

02/05/2022

Decidere in autonomia ( e non per obbligo) di lasciare il lavoro per dedicare ai figli e alla casa è un impegno importante per una donna che, però, non è retribuito. Eppure si tratta di un vero e proprio lavoro, secondo voi è giusto?

 

A QUANTO AMMONTEREBBE LO STIPENDIO MENSILE DI UNA MAMMA CASALINGA?

Su questo siamo tutti d’accordo: essere mamma a tempo pieno, senza altre occupazioni, significa essere il titolare di una piccola azienda. Quando ci si ammala non si può prendere un permesso retribuito, gli straordinari sono all’ordine del giorno (in realtà l’orario di lavoro è h.24, 7 giorni su 7), si ha la responsabilità di dover gestire una serie di faccende domestiche e di cura dei propri figli. Una mamma a tempo pieno è anche cuoca, autista, addetta alle pulizie, contabile, e magari anche infermiera, psicologa, insegnante. Nonostante tutte queste mansioni, alla fine del mese, non si riceve alcuno stipendio da parte dello Stato.

 

Secondo una ricerca condotta qualche anno fa dal sito americano Salary, una madre casalinga dovrebbe percepire uno stipendio di circa 7 mila euro al mese, e tra le voci di questa busta paga virtuale si contano le ore in cui una donna si prende cura dei figli, ma anche dei genitori, e di tutto ciò che riguarda la casa e la gestione familiare.

Recentemente si è parlato anche della possibile erogazione del Bonus Casalinghe, mai attuato, che prevedeva lo stanziamento di risorse destinate all’incremento delle opportunità di inclusione sociale e lavorative delle donne che in prevalenza svolgono attività in casa. Nessuna busta paga reale, quindi, ma dei fondi stanziati dallo Stato e dedicati agli enti di formazione per  invogliare le donne a formarsi ed istruirsi, e quindi, a trovare un lavoro al di fuori delle mura domestiche.

 

CASALINGA PER SCELTA O PER NECESSITA’?

Stando all’ultima indagine dell’Istat del 2016, sono più di 7 milioni le donne che si dichiarano casalinghe nel nostro Paese, e vivono prevalentemente nel Centro-Sud (63,8% sul totale). Che sia per scelta o per necessità, una donna, madre e moglie, si ritrova a dover rinunciare a una carriera lavorativa per diversi motivi: un’ impostazione culturale che la obbliga, in quanto donna, a doversi occupare  della  gestione familiare e dei lavori domestici; una reale impossibilità economica di poter affidare la gestione della casa e della prole a una domestica, una tata, un asilo nido; una libera scelta data dalla mancanza di una reale esigenza di avere due stipendi per la sussistenza del proprio nucleo familiare.

Se analizziamo il termine “casalinga” sul dizionario italiano, troviamo questa definizione: “donna che attende in casa propria alle faccende domestiche e non ha altra professione. La condizione dell’essere casalinga, specialmente come limitazione alla possibilità di realizzarsi in qualche altro ambito”. Non esiste il sostantivo maschile, casalingo infatti è un aggettivo usato per indicare ciò che è relativo alla casa. Da ciò che trapela dalla lingua italiana, la condizione di casalinga sembra proprio essere una questione di genere, legata a un periodo storico anteriore agli anni Cinquanta e a partire dal quale il diffondersi delle idee legate al femminismo e la sempre maggiore consapevolezza di doversi istruire per  poter cogliere le opportunità e le aspettative professionali hanno favorito l’indipendenza economica delle donne.

 

Se con lavoro retribuito intendiamo l’insieme di quelle attività umane svolte per soddisfare un bisogno intellettuale o collettivo tramite la produzione o lo scambio di beni e servizi, è giusto che le casalinghe di oggi, sia quelle che lo sono per scelta sia quelle che lo fanno per necessità (sempre che sia possibile definire con certezza cosa sia per scelta e cosa sia per necessità), abbiano diritto a uno stipendio da parte dello Stato? Cosa dire di quelle mamme lavoratrici che oltre ad avere una carriera professionale gestiscono anche il lavoro casalingo? E’ giusto dare uno stipendio anche a questa categoria?

 

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E’ UNA QUESTIONE DI GENERE O DI MANCANZA DI AIUTI DA PARTE DELLO STATO?

Facendo richiesta allo Stato di uno stipendio per la categoria delle casalinghe, non rafforziamo forse lo stereotipo della donna che deve stare a casa ad accudire i figli, richiudendola nella sfera privata e negandole la possibilità di rapportarsi con l’istruzione, la formazione, il mondo del lavoro, la propria crescita professionale, la piena e completa realizzazione di sè? Perchè devono essere le donne a dover sacrificare la possibilità di avere un’istruzione soddisfacente o di potersi realizzare attraverso una professione?

 

Non è forse più ragionevole chiedere allo Stato un aiuto concreto per poter avere strutture a sostegno delle famiglie e dei caregiver (asili nidi economicamente più sostenibili, incentivi per le nascite, possibilità di avere più occupazioni part-time, un periodo più lungo di congedo parentale dei papà), piuttosto che stipendiare una donna che deve rinunciare alla propria carriera professionale per dedicarsi totalmente alle mansioni di casa, e facendola così regredire in quel periodo storico e sociale in cui era un naturale compito della donna occuparsi della famiglia?

In tutto questo, che ruolo occupano i papà? Sono esenti dalla gestione domestica o hanno anche loro il dovere e il diritto di partecipare attivamente a ciò che riguarda la propria famiglia? Forse dovremmo prendere esempio dalle famiglie omogenitoriali, in cui il problema di genere non si pone e ognuno contribuisce al nucleo familiare in base alle proprie necessità, inclinazioni, ed esigenze?

 

 

Martina Carzaniga

vive a Milano con il marito e i due figli, Gabriele e Davide. E’ laureata in lingue per la comunicazione e la cooperazione internazionale e dopo aver lavorato per nove anni come project manager in una multinazionale ha deciso di dare una svolta alla sua carriera ed iniziare la propria attività di distribuzione in Italia di ECO BOOM, un brand ecosostenibile e certificato di pannolini e salviettine per bambini di altissima qualità. Scrive regolarmente sul suo blog “Racconti in culla”, e “Come una mongolfiera” è il suo primo romanzo.

 

 

 

 

 

 

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