Hanno fatto scalpore le parole di Elisabetta Franchi, famosa imprenditrice e fondatrice dell’omonima casa di moda, durante un evento organizzato da ‘Il Foglio’ e ‘Pwc’ e riguardante la presenza delle figure femminili nelle posizioni di dirigenza nelle aziende del settore. Parole intrise di discriminazione, sessismo, luoghi comuni, e accompagnate dalla forte presunzione di una donna, madre di due figli, che si trova ai vertici di una casa di moda di successo e che invece di dimostrare come si può, e si deve, essere inclusivi nei confronti delle mamme lavoratrici, fa tutto il contrario: esclude dai ruoli dirigenziali le donne sotto i 40 anni per privilegiare solo quelle che hanno già avuto figli, che si sono già sposate o che hanno divorziato, che sono libere da impegni familiari e senza sensi di colpa, che si dedicano anima e corpo al lavoro e all’azienda h24, giorno e notte.
Come se la soglia dei 40 anni fosse lo spartiacque anagrafico di chi ha diritto di avere una carriera lavorativa soddisfacente e chi invece no. Come se le donne dopo i 40 anni non fossero più in grado di diventare madri, in un periodo storico in cui le statistiche ci dimostrano proprio il contrario, ovvero che negli ultimi 20 anni in Europa la percentuale di primipare over 40 è più che raddoppiata.
Perchè, a detta sua, noi donne abbiamo il dovere di procreare, siamo noi le responsabili del fuoco domestico, siamo noi a dover gestire le faccende che riguardano la casa e la famiglia. Perchè gli uomini, “sono dei bambinoni, non vogliono crescere, anche se qualcosina in più lo possono fare, possono aiutare”. E’ imbarazzante sentire queste parole anche perchè provengono dalla bocca di una donna, una madre di due bambini (di cui l’ultimo avuto all’età di 45 anni), che ha deciso di realizzare il suo sogno con caparbietà e senza arrendersi di fronte alle difficoltà della vita, mossa dalla passione e dallo spirito di rivalsa. Una che ce l’ha fatta, dunque, che è riuscita ad essere madre e imprenditrice, a costruire un impero di successo non senza difficoltà e sacrifici, e che ha saputo conciliare la vita privata con quella lavorativa.
Perchè allora promuovere e sostenere un modello di vita diametralmente opposto, in cui le donne vengono escluse dai ruoli più importanti di un’azienda solo per il fatto di essere in età fertile?Non è forse questa una prova tangibile di becera e illogica discriminazione? Ognuno di noi, a prescindere dal nostro genere, età, cultura, avrà sempre una vita sociale e privata che esula da quella lavorativa, siamo essere umani a 360°, con le nostre esigenze e i nostri problemi quotidiani. Perchè non promuovere invece un esempio di società inclusiva in cui le donne, di tutte le età e le estrazioni sociali, al pari degli uomini, hanno gli stessi diritti e doveri e le stesse possibilità di raggiungere le posizioni desiderate? Davvero la donna, una volta diventata madre, deve “assentarsi per due anni dalla posizione lavorativa e lasciare l’azienda in difficoltà” o può trovare, con la collaborazione dell’altro genitore e dell’azienda stessa, un valido compromesso per raggiungere un equilibrio vincente? Perchè lei, madre over 40, con due figli e una carriera di successo, con uno spirito di solidarietà che la vede protagonista di numerose iniziative a favore degli animali, come quella della dog hospitality per i suoi dipendenti, i quali hanno la possibilità di portare i loro amici a quattro zampe in azienda, non si impegna a trovare una politica di sostegno a favore delle donne e degli uomini con figli a seguito?
Durante il suo intervento Elisabetta Franchi ha voluto rimarcare l’assenza dello Stato, che mette le donne nella posizione scomoda di dover scegliere tra carriera e famiglia. Certamente vi sono ampi spazi di miglioramento in Italia in termini di sussidi, infrastrutture e incentivi per chi decide di metter su famiglia. Ma se la mentalità dilagante è quella che vede la donna come unica responsabile del focolaio domestico, scaricare tutta la responsabilità allo Stato suona come giustificazione facilmente attaccabile. Se siamo ancora rimaste ferme alla concezione dell’uomo come semplice aiutante, al fatto che per essere degni di fare carriera occorre lavorare h24 e non avere altra distrazione che il lavoro, lo Stato non è di certo l’unico colpevole.
Se non riusciamo ad essere solidali e comprensive nemmeno tra noi donne, se non proviamo ad essere più empatiche e attente alle esigenze di ciascuna di noi, come possiamo aspirare ad una società più inclusiva? Ed è proprio questa la differenza tra boss e leader: l’intelligenza emotiva, ovvero la capacità di creare relazioni con gli altri esseri umani, di comprendere i loro bisogni, le loro esigenze, di sviluppare i loro talenti. E’ questo il vero successo di un leader, e non il suo fatturato. Ed è per questo che noi donne dobbiamo studiare, essere informate, lottare per i nostri sogni, per smantellare la gabbia dello stereotipo e per aiutare le altre donne, come la signora Franchi, ad uscirne definitivamente.
Martina Carzaniga
vive a Milano con il marito e i due figli, Gabriele e Davide. E’ laureata in lingue per la comunicazione e la cooperazione internazionale e dopo aver lavorato per nove anni come project manager in una multinazionale ha deciso di dare una svolta alla sua carriera ed iniziare la propria attività di distribuzione in Italia di ECO BOOM, un brand ecosostenibile e certificato di pannolini e salviettine per bambini di altissima qualità. Scrive regolarmente sul suo blog “Racconti in culla”, e “Come una mongolfiera” è il suo primo romanzo.
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