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La paghetta è educativa? Sì (ma non se vanno bene a scuola)

02/11/2022

Nel mese dell’educazione finanziaria abbiamo intervistato Barbara Tamborini, psicopedagogista e autrice di diversi volumi, che avverte: “Mai usarla come un premio, o per disincentivare un comportamento”. Tutti i consigli di quanto e come darla

 

Emanuela E. Rinaldi, professoressa Associata di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca ha scritto un libro che si chiama La paghetta perfetta. L’ho letto perché non ne potevo più di spendere soldi in edicola per le figurine dei calciatori. I miei figli le reclamavano settimanalmente, ma la spesa diventava sempre più ingente per trovare le figurine guarda caso introvabili dei giocatori blasonati. E allora, sono passata al piano alternativo: 5 euro ogni domenica, spendeteli come volete ma non tiro più fuori un euro dal portafogli.

 

 

Non sono certo l’unica. Da un recente studio su un campione di genitori che hanno figli appartenenti alla generazione Alpha e Z, è emerso come la paghetta sia ancora una pratica ampiamente diffusa in tutta Italia, tanto che il 66% di mamme e papà ha dichiarato di dare un contributo ai figli per abituarli a fare qualche spesa in autonomia e responsabilizzarli sulla gestione del denaro. Il 40% dei genitori la fornisce con cadenza settimanale, mentre il 22% preferisce darla su base mensile. Per finire con i dati, per il 40% dei figli la paghetta settimanale è tra 10 e 20 euro: con il crescere dell’età aumenta però anche la quantità di denaro che viene messo a disposizione dalle famiglie ai ragazzi.

Siccome ottobre è stato  il mese dell’educazione finanziaria (questa sconosciuta nelle scuole insieme a quella sessuale), ho organizzato tra qualche settimana una gita al Museo del Risparmio di Torino per avvicinarli al concetto di risparmio e di consapevolezza del denaro in modo divertente e innovativo.

 

 

Intanto, abbiamo fatto due chiacchiere con Barbara Tamborini, psicopedagogista e autrice insieme ad Alberto Pellai di parecchi volumi sull’infanzia e l’adolescenza (tra i tanti Quello che nessuno ha il coraggio di dirti prima dei 10 anni e Vietato ai minori di 14 anni), per capire i pro e i contro di questo strumento così utilizzato.

 

 

Paghetta sì o no?


È uno strumento utile a livello educativo, perché il bambino e ancora di più i ragazzi nella preadolescenza iniziano a gestire una somma di denaro all’interno della settimana e del mese. Il fattore pedagogico sta nell’allenamento all’autoregolazione e alla programmazione delle piccole spese. Importante è che il “contratto” vari a seconda dell’età e a non chiamarla “paga”, che presuppone che dietro ci sia un lavoro o una retribuzione in base, per esempio, al rendimento scolastico.


Quindi, sbagliato dire: niente paghetta perché la verifica è andata male.

Assolutamente sì. La moneta non è mai un rinforzo per incentivare o disincentivare un comportamento. Il contributo per togliersi piccoli sfizi non ha nulla a che vedere con la scuola, le attività sportive, il comportamento, o con l’ordine della cameretta. La paghetta deve essere sganciata dalla collaborazione in famiglia e dal rendimento a scuola, il suo unico obiettivo dovrebbe essere imparare a gestire negli anni autonomamente il denaro, ad autogestirsi e a regolare il risparmio. 

 

Anche per i bambini?

Alla primaria, dagli otto anni e non prima, potrebbe essere occasionale, per esempio sotto Natale, perché i bambini non hanno consapevolezza dei soldi e dei costi, non saprebbero amministrarli e potrebbero sperperare 5 euro in pochi minuti. Semmai consiglio ai genitori di iniziare a insegnare il valore dei soldi con la spesa, facendo notare la differenza di prezzi nei prodotti, spiegando che spesso è preferibile comprare quello che costa meno.

 

A che età allora?

Con regolarità dalla prima media, perché diventano più autonomi e hanno migliore margine di azione e di comprensione del denaro. Spesso escono da scuola e vogliono pranzare con gli amici, iniziano ad avere spazi extra familiari e a muoversi sul territorio. Avendo una paghetta settimanale (da preferire all’inizio a quella mensile per una più semplice pianificazione) che varia chiaramente anche in base a dove vive il ragazzo, diventa allora il primo strumento finanziario per fare i conti con le spese e con i desideri. Ed è interessante osservare come si sperimentano nella gestione. Spesso all’inizio spendono i 10 euro settimanali in due giorni, e allora non avendo più soldi a disposizione, si regoleranno meglio già la settimana successiva. 

 

Aspettare che sia il figlio a chiederla o meglio che sia una nostra iniziativa?


Dipende, credo che il momento giusto sia quando il figlio o la figlia inizi ad aumentare le pretese, a chiedere sempre più soldi per giochi, attività, uscite. È l’occasione per sedersi a tavola e dire: ok, su questo argomento serve una regola e un accordo. Noi genitori ti daremo una risorsa economica e inizierai a gestirla da solo o da sola. 

 

 

E se spende tutto in cose futili?


Non rimproverarlo o arrabbiarsi, non serve, né fargli credere che siamo disposti a dargli di più. È probabile che all’inizio ci siano difficoltà nella gestione, è da mettere in conto qualche spesa eccessiva perché ancora non ha imparato come regolarsi. Non va bene nemmeno toglierla, ma anzi aiutarlo a riflettere su come organizzare meglio quel denaro, senza intervenire decidendo al posto suo su come spenderli. Impareranno a non sprecare, anche attraverso piccoli suggerimenti che ridimensionano. Per esempio: a pranzo con gli amici si va una volta alla settimana.

Alcuni genitori preferiscono non darla e dire: “Ti compro io quello che vuoi”. Che cosa ne pensa?

 

Dipende, ci sono bambini e ragazzi che con questo metodo funzionano, ma perché sanno già autoregolarsi e sono parsimoniosi per natura o perché glielo abbiamo insegnato, dunque anche al genitore va bene gestire gli “affari economici” del figlio. Il problema è quando hanno poca percezione, e chiedono e chiedono ancora. In quel caso lo strumento paghetta è parecchio educativo per cambiare rotta. 

 

Quali i contro?


Usarla come un premio, come a volte avviene. “Questa settimana avrai di più perché hai avuto un risultato strabiliante a scuola”, oppure “se vai a trovare i nonni ti do la mancia”. Mai monetizzare una dinamica affettiva, familiare o che abbia a che fare con una prestazione.

Serve un’educazione finanziaria a scuola?

Sì, l’educazione finanziaria dovrebbe essere affrontata in maniera consapevole e seria sui banchi di scuola e magari inclusa nei programmi scolastici. Ma deve andare di pari passo all’educazione familiare della gestione economica. Solo il lavoro complementare funziona a ragionare sui soldi, come sulle distribuzione delle risorse, sul risparmio.

 

 

Articolo a cura di

Benedetta Sangirardi, giornalista

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