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C’era una volta…Merù

01/10/2015

La storia di Merù Gioielli nasce a Milano nel 1960

 

Francesco Mereu, il suo fondatore, aveva lasciato la Sardegna per frequentare la Scuola d’Arte e Mestieri a Milano, dove si diplomò a pieni voti come orologiaio. Gli venne offerta una cattedra alla Scuola d’Arte e Mestieri dove lavorò come insegnante per quattro anni. Francesco proveniva da una famiglia molto povera, come molti in quel periodo era un “emigrato” dalla Sardegna al Continente Italia; non possedeva nulla, se non la sua grande creatività e capacità imprenditoriale che gli permisero di raggiungere il successo.

Nel 1960, all’età di 28 anni, Francesco decise di mettersi in proprio; in Via del Lauro, a due passi da Piazza del Duomo, si era liberato un negozietto dove aprì una piccola bottega in cui riparare orologi. “L’affitto di via del Lauro costava 20 mila lire ogni 2 mesi” racconta Francesco. “Non avevo il tavolo da lavoro, così andai in Piazza del Carmine da un rigattiere che mi vendette un tavolo di marmo per 3 mila lire, e una sedia per 200 lire. Mi portò il tutto in via del Lauro con un triciclo a pedale. Misi una lampadina nel centro del tetto in modo che scendesse davanti vicino al tavolo, poiché non possedevo una lampada da tavolo. Questo negozietto era piccolo ma grande abbastanza x quello che serviva a me. Avevo tutti i ferri giusti x poter fare il mio lavoro”.

 

Oltre all’attività di orologiaio, Francesco iniziò a recarsi a Parigi ogni due settimane per acquistare oggetti antichi al mercato delle pulci: collane, anelli, braccialetti, orologi. Questi oggetti venivano riparati, restaurati e modificati per poi essere rivenduti nella piccola bottega. Molti oggetti necessitavano di interventi che potevano essere effettuati solo presso un laboratorio di oreficeria; così Francesco si rivolse a piccoli artigiani orafi del centro, con cui nacquero  fondamentali collaborazioni che durano tutt’oggi.  Racconta Francesco : “se le cose al mercato delle pulci erano messe male le compravo lo stesso, perché potevo contare sugli orafi che me le mettevano a posto”.

Racconta ancora Francesco: “La fortuna era che in questa via del Lauro vivevano molti nobili che presto diventarono miei clienti: i laccini, i Castelbarco, i Malingri; ed era a soli 200 metri dalla Scala. Dal mio negozio passavano alcuni personaggi della Scala. Gli artisti (cantanti liriche, scenografi ecc.) si sedevano in negozio, mi raccontavano del loro lavoro, alcuni mentre chiacchieravano preparavano i disegni per gli spettacoli. Qualche volta prendevamo un aperitivo. Andavo spesso alla Scala. Poi arrivarono a Milano anche due dei miei cinque fratelli, Giovanni e Lucia. In quel periodo ho conosciuto molte persone interessanti che sono state fondamentali per me perchè mi hanno ispirato nel mio lavoro”.

La Palazzi Editori aveva un mensile che si chiamava Bellezza, che realizzò un servizio fotografico degli oggetti venduti nella piccola bottega; l’articolo pubblicato chiamava Francesco “il Merù” perché il custode del condominio di Via del Lauro, essendo milanese doc, non sapeva pronunciare il dittongo finale del cognome Mereu, e pronunciava Merù.

La  cosa era molto buffa, gli amici ridevano. Tuttavia “Merù”  era un nome originale; così Francesco andò all’ufficio brevetti e marchi a depositarlo e mise la targa fuori dal negozio.

Nel 1965 Francesco dovette cedere il negozio di Via del Lauro; si trasferì in Via Solferino 3, zona Brera, da cui non si è più mosso. Con i soldi della buona uscita di Via Del Lauro potè allestire delle vetrine, esterne e interne, nel nuovo negozio.

Era il periodo della beat generation, e i giovani beats arrivavano a Brera con l’autostop. Seduti per strada, con pinzetta e martello facevano gioiellini di rame che poi indossavano. Racconta Francesco: “dopo aver visto tutto questo, poiché in Via Solferino c’erano dei ferramenta, mi venivano in testa molte cose: compravo delle catene di ottone e le portavo nelle botteghe orafe per farle dorare. Un giorno in Porta Ticinese c’era un signore che stava mettendo dei cerchi di acciaio a una piccola botte. Mi sono messo un cerchio in vita e ho visto che calzava bene. Ci ho messo una fibbia in acciaio dorato. Ed ecco, avevo creato una cintura che misi in vetrina. Allora le grandi firme della moda non esistevano: c’erano le sartorie, ma a Parigi c’erano già le sfilate. Iniziai a usare il cuoio per fare cinture e bracciali. Usavo l’acciaio e l’argento basso per creare anelli e fermacravatta, sempre con l’aiuto di altri artigiani che lavoravano questi metalli. Io spiegavo loro l’idea e loro la realizzavano”.

Francesco aveva già ottenuto la licenza di venditore d’oro, ma all’epoca la sua attività principale restava quella di orologeria di alta precisione. Tuttavia, poichè i clienti cominciavano a domandare anche delle pietre preziose, Francesco si iscrisse a un corso serale di gemmologia.

Col tempo Francesco cominciò a dedicarsi sempre più all’oro e ai materiali preziosi e semipreziosi che venivano mescolati con materiali poveri per dar vita a creazioni originali.

Nel 1968 Camilla Cederna (scrittrice) e Brunetta Mateldi (disegnatrice) decisero di allestire una mostra delle creazioni di Merù: coccinelle in legno con ali di acciaio, porta-accendini da legare al collo, porta-sigarette che si indossavano come una giarrettiera, una lente fatta a ciondolo per incanalare i raggi del sole e accendere la sigaretta.

Dal 1969 Francesco aprì, nei mesi estivi, il negozio a Porto Cervo, meta molto turistica della Costa Smeralda in Sardegna. Negli anni ’70 spostò la location del negozio a Porto Rafael, sempre in Costa Smeralda; anche oggi Merù è aperto a Milano in Via Solferino da metà settembre a metà luglio, e apre a Porto Rafael da metà luglio a metà settembre.

Nei primi anni ’70 Francesco conobbe una miniaturista di oggetti d’oro che miniava oggetti sacri. La miniatura è una tecnica che utilizza lo smalto (polvere di vetro che fonde a una certa temperatura) per decorare i metalli, tra cui anche l’oro, con disegni di altissima precisione e molto piccoli. Francesco cominciò a commissionarle dei ciondoli miniati: piccole mele, ciliegie, gattini, angioletti. I ciondoli miniati furono un grandissimo successo tra i clienti, e anche oggi sono tra i gioielli più ricercati da chi si rivolge a Merù.

Francesco ricevette molte proposte da parte di grandi aziende estere che producevano gioielli, ma lui le rifiutò tutte. Nei primi anni ’70 arrivano a Milano altri due fratelli di Francesco: Antonio e Angelo. Dopo un certo periodo entrambi iniziarono a lavorare in negozio: Antonio faceva il commesso insieme a Lucia e a Giovanni, mentre Angelo, che aveva una grande abilità manuale, iniziò a dedicarsi anche alla riparazione di gioielli.

Merù acquista sempre più notorietà e la stampa del settore moda inizia ad incuriosirsi;  le creazioni di Merù cominciano ad apparire sulle più note riviste femminili. Nel corso degli anni ’80 ci fu la vera e propria esplosione della fama di Merù a Milano, e Merù diventa un marchio-insegna di grande successo a livello locale. I giornali battezzano Merù il “creatore del gioiello povero”, perché il fatto di utilizzare materiali poco pregiati, come il cuoio e l’acciaio, mescolati all’oro, agli smalti e alle pietre preziose era molto innovativo.

Oggi il grande inventore imprenditore e creativo Francesco non è più con noi; rimangono però le sue creazioni e il suo stile inconfondibile. A continuare a far parlare di Merù ora ci pensano i due figli di Francesco, Elisabetta e Bartolomeo, che uniscono le nuove collezioni ad un continuo recupero del patrimonio storico di Merù.

Ieri, come oggi,  i disegni vengono realizzati nel laboratorio creativo, per i prototipi e la produzione Merù si avvale di laboratori esterni che eseguono i lavori sulla base dei disegni e delle direttive Merù.

Vintage e moderno si fondono, la storia di Merù continua.

MERU’ è ora su Mumadvisor, leggi le recensioni!

(il testo è stato scritto da Elisabetta, la figlia di Francesco; si tratta di un’intervista che Elisabetta fece al padre nel 2004)

 

 

 

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