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Mia figlia trans, così l’ho aiutata a essere ciò che voleva 

17/05/2021

Il racconto di Mariella anche in un libro: ha accompagnato la ragazza a fare la transizione di genere a 17 anni (seconda in Italia). E ora chiedono il silenzio, dopo anni di pregiudizi, insulti e sofferenze

Olimpia ha 21 anni, è serena. Sua mamma Mariella Fanfarillo, insegnante, mi dice che sta riprendendo pian piano in mano la sua vita. Dopo anni difficili, vuole restare lontano dai riflettori. Vuole l’equilibrio, così desiderato, essere una qualunque dopo anni di discriminazioni, bullismo, insulti. Perché Olimpia prima era Lorenzo, è stata la prima adolescente transgender che a 17 anni ha ottenuto dal Tribunale di Frosinone la storica sentenza (seconda in Italia) che le ha consentito di modificare i propri dati anagrafici senza obbligo di intervento di riattribuzione chirurgica del sesso. È una donna, Olimpia, bellissima.

E lo è grazie alla determinazione della sua famiglia, di Mariella, che ha combattuto per anni perché la figlia fosse quello che voleva. «Ho imparato a mie spese la differenza tra vedere e guardare: ora so che da sempre io vedevo mio figlio ma guardavo mia figlia». Quale regalo migliore, quale intuizione più generosa, quella di capire che l’amore non ha genere. Ne è venuto fuori un libro uscito nel 2019, Senza rosa né celeste. Diario di una madre sulla transessualità della figlia (Villaggio Maori Edizioni), in cui Mariella racconta il percorso a ostacoli fatto di pregiudizi, insulti, la scuola e i prof tutt’altro che accoglienti, e poi la verità, la rinascita, la libertà.

 

 

Un racconto per chi ha un figlio o una figlia che non si riconoscere nel corpo in cui è nato, per affrontare con serenità il processo di transizione, e per dare un messaggio positivo che sia una speranza per i ragazzini che si sentono intrappolati in un sesso biologico che non gli appartiene. «La mia esperienza mi ha insegnato che ogni individuo ha il diritto di essere libero di scegliere il proprio ruolo nella società, senza condizionamenti, senza discriminazioni».

L’infanzia

Mariella parte dall’infanzia e sbatte subito in faccia la realtà, inutile girarci intorno. «Una persona transgender, in quello specchio vedrà un’immagine che non la rappresenta, che è esattamente l’opposto di quello che sente di essere. Per questi motivi e per rispetto a mia figlia, da adesso inizierò a parlare di Esther (così la chiama nel libro, ndr) e a parlarvi di lei al femminile, perché lei, fin da piccolissima, si è vista e percepita come donna». Esther è sempre stata attratta dalle bambole, non prende in mano una macchinina, semmai ne preferisce le scatole. «Ricordo ancora adesso la sua espressione sconsolata e arrabbiata di fronte a un regalo che non fosse una bambola. Ntantaneve (Biancaneve), Auoa (Aurora), Aiel (Ariel) erano le sue amiche del cuore. Cenerentola non le è mai piaciuta, non ne ho mai capito il motivo». Crescendo, cerca negli armadi della mamma foulard per realizzare vestiti eleganti con lunghi strascichi e fa piroette come fosse al gran ballo di corte. Ogni anno, sulla letterina per Babbo Natale, un unico desiderio: diventare una bambina.

Mariella è confusa, incerta, ma lascia fare. Intorno a lei, le persone parlano, le farle notare qualcosa di “strano”. «È malato! Dovresti portarlo da uno psichiatra, non vedi? Un bambino non dovrebbe giocare con le bambole o vestirsi da femmina». A sei anni Esther chiede per la prima volta quando si sarebbe svegliata donna, ma Mariella fa fatica a capire l’importanza di quella domanda.

La scuola

Ma è nel 2008 che tutto inizia a cambiare. La famiglia torna in Italia dopo alcuni anni all’estero. E Esther si ritrova in una nuova scuola, con nuovi compagni e, non meno importante, il cambio di lingua e la fatica a prendere confidenza con l’italiano. Le discriminazioni e i primi atti di bullismo iniziano subito. «La scuola italiana (un’istituzione, è bene ricordarlo, che avrebbe dovuto accogliere mia figlia, supportarla e aiutarla a crescere) si è invece rivelata un ambiente ostile, assolutamente incapace di ricevere e proteggere una ragazzina che chiedeva solo di essere accettata senza essere discriminata o derisa», racconta Mariella. Persino i prof alle medie la prendono in giro, l’insegnante di educazione fisica la chiama “Signorina”. E poi “frocio”, “finocchio” sono insulti all’ordine del giorno. Aggressioni fisiche, botte. I ragazzini sanno essere cattivi, e Esther soffre, moltissimo. E sceglie di chiudersi in casa, non ha amici e ha paura di incontrare gli altri.

Il coraggio di una decisione 

Esther ha 13 anni quando Mariella decide che è arrivato il momento della felicità, dopo troppa sofferenza. Inizia la transizione di genere, percorso lungo e non semplice, ma mamma e figlia sono determinate. Prima il sostegno di una psicologa, poi i consulti con il neuropsichiatra, cui basta poco per far svanire quell’ansia che sta divorando l’intera famiglia: «È evidente che sua figlia sia una donna, signora. Faremo comunque i test previsti, ma non c’è alcun dubbio che si tratti di un caso di disforia». A 16 anni inizia il percorso di adeguamento tra identità fisica e identità psichica. La richiesta la fanno i genitori, perché Ester è minorenne. Via a una nuova battaglia conclusa con una sentenza rivoluzionaria: un ragazzino minorenne considerato in grado di decidere della sua vita. Il cambio dei dati anagrafici e dell’identità di genere è stata riconosciuta anche senza l’intervento di demolizione e ricostruzione chirurgica del sesso. «Ero felice, avevo vinto una scommessa che mi terrorizzava, ma ero soprattutto riuscita a comunicare a tante persone una visione diversa della transessualità». racconta la mamma

La nuova vita

Esther è donna e rinasce, al liceo i voti sono ottimi. Arrivano i complimenti degli insegnanti. Si riconosce, e tutto va meglio. È quello che desidera. «Non è facile confrontarsi con la disforia, ne sono consapevole», conclude Mariella. «Ma non si deve cadere nell’errore di pensare che le vittime siano i genitori. Chi soffre più di tutti sono i nostri figli e le nostre figlie, che vivono in prima persona le discriminazioni e le umiliazioni da parte di una società che solo il nostro impegno può cercare di cambiare. Come genitori, è naturale provare il dolore di una separazione, ma non dobbiamo per- mettere che si trasformi nel dolore di una perdita, perché, alla fine di questo percorso, l’unica cosa alla quale dovremo dire addio sarà semplicemente un nome. La ricompensa, però, sarà la serenità di quella creatura che abbiamo messo al mondo con amore e che ha la necessità di continuare a sentirsi amata».

La vita prosegue, e dopo il libro, le testimonianze, le interviste gli eventi Olimpia ha scelto il silenzio. Ha scelto di vivere la serenità raggiunta lontano dai riflettori, dopo tanto dolore. Il silenzio della felicità.

Il libro

Senza rosa né celeste Diario di una madre sulla transessualità della figlia (Villaggio Maori Edizioni), di Mariella Fanfarillo 14 euro

 

Benedetta Sangirardi | Giornalista

In collaborazione con Rilastil

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