Proprio in questi ultimi giorni lo sfogo social di una mamma, riguardo la quantità dei compiti scolastici quotidiana del proprio figlio, ha riacceso la storica diatriba circa l’utilità o meno dei compiti a casa. Proviamo insieme a riflettere, per capire se da questa ennesima polemica possiamo ricavarne qualcosa…
Il dibattito in merito all’utilità o meno dei compiti a casa ha attraversato tutto il sistema scolastico, è un tema spinoso che pur non volendo riguarda e coinvolge milioni di persone: insegnanti, genitori, alunni ed alunne, pedagogisti, Ministri…
Ognuno sente il bisogno, il diritto e il dovere di esprimere la propria opinione senza che, tuttavia, si arrivi mai ad una conclusione comune e condivisa.
Ma qual è il problema? Il vero problema intendo…
Per alcuni la questione sembra ruotare attorno alla “misura” dei compiti, ovvero alla quantità di lavoro da assegnare a bambini e bambine, ragazze e ragazzi. La “misura” perfetta sembra essere quella che si ottiene commisurando i compiti a casa con le ore passate in classe e con l’età degli studenti e delle studentesse.
Fosse così semplice! In realtà il “problema compiti” si pone, per molte famiglie, anche nelle situazioni in cui i compiti sono correttamente “misurati”.
“Per fare 8 operazioni in colonna ci abbiamo messo tutto il pomeriggio”
“Prima ha pianto due ore e poi però ha fatto i compiti in un quarto d’ora. Che rabbia!!!”
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Un altro schieramento è invece totalmente contrario a qualsiasi tipo di compiti, nella convinzione assoluta che ciò che a scuola si fa possa e debba bastare.
“Dopo tutte quelle ore di lavoro i bambini e le bambine hanno il diritto di riposarsi e godersi il resto della giornata”
“I bambini non sono robot! Devono avere il diritto di scegliersi serenamente delle attività extra-scolastiche senza l’ansia dei compiti!”
Come schierarci? Quale posizione è la POSIZIONE CORRETTA?
Ci hanno provato in tanti a dare una risposta, dai Ministri dell’Istruzione Francesco Profumo (nel 2012) e Maria Chiara Carrozza (nel 2013) i quali si sono schierati contro i compiti a casa, a Manuela Cantoia, coordinatrice delle attività formative dello SPAEE (Servizio di psicologia dell’Apprendimento e dell’Educazione in età evolutiva dell’Università Cattolica di Milano) che si è espressa a favore.
Sembra che trovare un accordo sia davvero impossibile. Perché?
È difficile trovare una posizione comune e condivisa sulla questione compiti perché i compiti, volendolo o no, sono qualcosa di personale, nell’accezione più stretta del termine: qualcosa di pertinente all’individuo, alla persona. Questo avviene perché le competenze che si attivano nello svolgimento dei compiti sono di tipo e intensità differenti da persona a persona e la fatica richiesta in quei momenti è altrettanto diversa.
Non solo, è bene ricordare che accanto a queste fatiche emergono, in modo consapevole o meno, anche tutte le emozioni che queste difficoltà rievocano e che sono (anche loro) diverse da bambino a bambino. In ultimo, è davvero importante considerare che, sebbene i compiti debbano essere a mio avviso una questione tra insegnante e alunni/e, per qualche motivo i genitori si trovano loro malgrado spesso ingarbugliati in questa relazione e i compiti rischiano così di diventare qualcosa di cui il genitore debba occuparsi e preoccuparsi, sia in termini materiali (ma in questo caso ne è chiaro il ruolo e il significato) che emotivi. Ecco che in quest’ottica accanto alle emozioni dei bambini si legano, quasi confondendosi, quelle dei genitori.
I compiti assumo quindi un valore e un peso che viene attribuito loro dai bambini e dalle bambine, ma anche dai genitori e questo è il motivo per cui diventa davvero difficile trovare un punto di vista comune sulla loro utilità… tante teste, tante emozioni, tante fatiche e tante idee.
Potremmo stilare una lista dei pro e dei contro, ma comunque non otterremmo nulla di soddisfacente: i compiti possono essere tanto ostacolo quanto sostegno, l’ago della bilancia si sposta da una parte o dall’altra a conseguenza delle aspettative e delle emozioni nostre e dei nostri figli, figlie.
In questa sede potrebbe essere sufficiente portare avanti delle riflessioni che quantomeno potrebbero riappacificare i nostri pensieri, veder germogliare nuove convinzioni e, cosa più importante, offrirci qualche suggerimento interessante.
In questo senso potrebbe essere utile far emergere gli elementi che hanno il potere di ostacolare o favorire il lavoro a casa, rendendolo ostacolo o occasione di crescita.
Quando i compiti diventano ostacolo?
I compiti a casa diventano un ostacolo quando sono discriminanti, quando obbligano a chiedere il supporto dei genitori, quando non vengono corretti e valorizzati dall’insegnante, quando non vengono spiegati, quando non sono di supporto alle lezioni svolte in classe o non tengono conto delle ore passate in classe. In tutti questi casi è opportuno segnalare agli insegnanti eventuali elementi di criticità rilevati: il confronto chiaro e rispettoso, all’interno di una buona relazione scuola-famiglia, può essere davvero costruttivo e utile.
Quando possono essere considerati opportunità?
I compiti a casa possono essere un importante strumento di crescita nel caso in cui accompagnino i bambini e le bambine a sviluppare un sano senso del dovere con il quale, sappiamo bene, prima o poi dovranno fare i conti. Permettono inoltre di sviluppare strategie organizzative funzionali, di comprendere gli automatismi legati al processo di apprendimento, tali per cui diventerà chiaro per i nostri figli e figlie cogliere la relazione che lega la fatica al raggiungimento dei traguardi… e anche questo sappiamo sarà utile per il loro sviluppo.
Soprattutto, il lavoro a casa può essere un’opportunità per valorizzare l’impegno e promuovere la motivazione.
Arrivati alla conclusione di questo articolo sembra possibile quindi che nell’atto dello svolgimento dei compiti a casa possa celarsi un’importante occasione di arricchimento, ma a quali condizioni?
Ecco il mio punto di vista: credo che i compiti debbano essere pensati su misura degli alunni e delle alunne che vivono le lezioni in aula. Credo che non possa esserci infatti una regola che ne regoli la quantità e la tipologia a priori, la famosa “misura” perfetta può essere generata solo dall’insegnante all’interno di un progetto educativo costruito e pensato con l’obiettivo di favorire un sereno processo di apprendimento. Penso che sia fondamentale che i bambini capiscano il valore del lavoro proposto e che vengano loro assegnati compiti che sappiano svolgere in autonomia, così da promuovere in loro il senso di auto-efficacia e un corrispondente aumento dell’autostima (che avviene anche attraverso eventuali errori e correzione degli stessi).
Penso che i compiti siano compiti anche (e soprattutto) quando escono dalla proposta didattica classica, quando sanno stimolare la curiosità di alunni ed alunne, quando riescono a risvegliare la naturale spinta ad apprendere e a capire il senso della matematica, della grammatica, dell’inglese, della storia… del Mondo.
I compiti possono essere davvero preziosi, ma solo se sanno essere un valore aggiunto, qualcosa che arricchisce e non qualcosa che toglie.
D.ssa Ilenia Murdolo |consulente educativa| @cuoreincartella
Vive in provincia di Bergamo con il marito, la figlia e la loro gatta Arya. Laureata in Scienze dell’educazione, ha lavorato come insegnante nella Scuola Primaria per vent’anni prima di decidere di cambiare direzione professionale per diventare consulente educativa. Lo scopo del suo lavoro è la promozione del benessere scolastico, in aula e in famiglia.