Dopo il caso della mamma del neonato morto al Pertini, facciamo un passo in avanti: quando la fatica fisica si trasforma in una to-do list infinita di cose da fare e a cui pensare. La mia ricetta personale, e quella della psicologa Elena Patrocchi #mammasbagliata
Da un paio d’anni sul mio comodino c’è un libro. Si chiama Devo dirti sempre tutto. Come suddividere il carico mentale nella vita di coppia (De Agostini), di Marie-Laure Monneret, autrice che dopo una carriera nel marketing, ha deciso di cambiare vita e dedicarsi alla professione di coach. Una bella copertina arancione, dopo averlo letto quando è uscito nel 2019, l’ho messo lì per ricordarmi di aprirlo ogni tanto, quando il mio cervello va in tilt.
Si è scritto e parlato tanto del piccolo morto all’ospedale Pertini di Roma, perché la mamma esausta, sfinita dopo il parto, si è addormentata mentre teneva il neonato con sé nel letto, soffocandolo. Una tragedia che ha fatto tornare in mente a tutte noi mamme quel momento tanto atteso, la nascita di un figlio, che dovrebbe essere il più felice del mondo, e invece spesso è talmente faticoso da mettere a dura prova chiunque. Perché ci hanno fatto credere che “partorirai con dolore” vuol dire che se chiedi aiuto sei in difetto, non vali, non sei all’altezza, che insomma cosa pensavi che fosse una passeggiata? No, non è una passeggiata quindi resta sveglia e cavatela in tutto quel casino che è la maternità. Comunque, non voglio dilungarmi sull’argomento di cui si parla da settimane, quello della fatica fisica e emotiva di una neo madre (il miglior lavoro lo stano facendo Francesca Fiore e Sarah Malnerich di @mammadimerda).
Voglio fare un passetto in avanti, quando lo sforzo, la cura, la stanchezza, dall’essere solo fisica perché si sa che i primi momenti con un neonato ti sfiancano, diventa peso mentale. Carico mentale. Ecco perché quel libro è sempre sul comodino, e da qualche mese ne ho aggiunto un altro che vi suggerisco. Si chiama Non farcela come stile di vita e lo hanno scritto le sopracitate mamme di merda.
Perché il carico mentale non è roba che passa dopo che tuo figlio ha imparato a camminare e non devi più tenerlo in braccio, o quando finalmente fa pipì e cacca nel water, e se ha imparato a mangiare da solo e non devi stare lì a imboccarlo. No, il cervello di una mamma non si riposa mai. Parlo di quel lavoro full-time e logorante, ma invisibile, che permette di mandare avanti la vita di famiglia. E spesso ricade solo sulle donne, soprattutto se le donne sono madri. Sapete di che cosa parlo: di quell’organizzazione quotidiana tra lavoro, agenda, riunioni in ufficio, consegne, scuola, compiti, cartella, spesa, manca la carta igienica, c’è la riunione a scuola, che si mangia stasera, cinque Whatsapp aperti tra attività, classe, compagne della danza, gruppo del basket, appuntamento dal medico per i richiami del vaccino, prenota per tempo i biglietti per le vacanze, fai il cambio degli armadi, è finito anche il bagnoschiuma, la spesa, si è bucata la ruota della bicicletta, “signora buongiorno Gianfilippo ha vomitato può venire a prenderlo da scuola?”, e manca anche lo Scottex, e sapete che potrei andare avanti all’infinito.
Chiaramente siamo maestre a pensare, pianificare e ricordare di fare tutto.
Il partner, non vogliamo assolutamente metterlo da parte, sta lì a guardarci e ad attendere, con atteggiamento passivo, che gli si chieda di occuparsi di qualcosa. Ma quanto ci costa tutto questo? Seguendo le avventure quotidiane di Julie e Romain, protagonisti di Devo dirti sempre tutto, lavoro da mesi anche con l’aiuto di una psicoterapeuta per liberarmi del carico mentale. Ho preso la decisione quando ho capito che il prezzo da pagare per organizzare tutto da sola era troppo alto, e stavo per esplodere. E nella ricerca di “salvavita” sui social, alla collezione di profili su madri che alleggeriscono sensi di colpa e che ti spingono con grande serenità verso l’inadeguatezza si è aggiunta Elena Patrocchi, anche nota come # mammasbagliata. Mamma e psicologa, madre di due figli che da Firenze si è trasferita in Australia con il marito, l’estate scorsa ha diffuso un video su Tik Tok sugli effetti che la cultura patriarcale ha sulle madri. Nel giro di due giorni ha ottenuto 1.9 milioni di visualizzazioni, oltre 113mila like. Insieme, abbiamo fatto due chiacchiere per capire come toglierci il fardello della perfezione, e come sopravvivere allo stress ossessivo di dover fare tutto e bene.
Elena, partiamo dall’inizio: che cosa è il carico mentale?
È quel lavoro invisibile che le donne svolgono per poter tenere tutti i pezzi insieme. Mi spiego meglio. Il fatto di occuparsi di casa, lavoro e figli implica che la mamma debba avere sempre in mente una “to do list” e che dalla mattina alla sera, da quando si sveglia a quando va a letto, deve spuntare le caselle delle cose fatte. Insomma, altro non è che un’interminabile lista che la società ritiene sia unica responsabilità delle donne gestire.
Ma quali sono gli effetti di dover pensare a tutto?
Possono essere anche severi, come il burnout materno, qualcosa da non sottovalutare. Il fatto di avere tantissime cose a cui pensare e sentirsi in dovere di portare a termine tutti i compiti della lista rischia di rendere le mamme vulnerabili, fino a cadere in una vera e propria sindrome correlata allo stress. Si hanno sia sintomi fisici come stanchezza, mal di testa, sintomi gastrointestinali, disturbi del sonno e sintomi psicologici che spesso sono riconducibili a stati ansiosi o depressivi.
Ci sono dei motivi per cui alcune mamme si sovraccaricano di più di altre?
Va fatta una premessa importante. Ogni individuo è un individuo a sé e ogni mamma è un individuo a sé. Questo viene troppo spesso dimenticata. Non esiste la categoria mamma ma esiste la donna che diventa mamma. Partendo da questo presupposto possiamo comprendere che alcune mamme possono essere più vulnerabili di altre a fattori stressanti, e che quello che è logorante o estenuante per una mamma potrebbe non esserlo per un’altra. L’equilibrio e il benessere psicologico è dato da molteplici fattori quali la predisposizione genetica, le esperienze di vita, il contesto, le aspettative e le credenze che si hanno nei confronti della maternità, il supporto e la rete sociale. Il sovraccaricarsi o meno dipende da infiniti fattori che sono propri di ogni donna. Ripeto: la problematica maggiore è proprio questa. Non riconoscere l’individualità delle mamme e quindi anche la possibilità che una mamma non possa farcela. Il paragone tra chi ce la fa e chi non ce la fa, tra chi è sempre in agguato e la mamma che arranca, quindi di serie B, è ancora fortissimo.
A che cosa stare attente? Come è possibile riconoscere che siamo al limite dell’esaurimento?
Quando si comincia a dire “Non ce la faccio più”. È sicuramente un indicatore attendibile. Quando si inizia a sentire che mancano le energie fisiche e mentali per poter gestire quella “to do list” che si ha in testa.
Quando si aggiungono i problemi con il sonno, non solo l’insonnia ma anche ma anche il sentirsi stanche anche dopo dieci ore di sonno.
Quella sensazione di non essere mai in grado di ricaricare le pile ed essere sempre a terra. A livello emozionale invece l’esaurimento si manifesta spesso con distacco emotivo. Non si prova più piacere per niente, anche le cose che prima si facevano con entusiasmo.
Insomma, ci si prende cura del bambini a livello pratico ma a livello emotivo non si riesci più a investire energie. C’è sempre più spesso rabbia, irritazione, ma anche mal di testa, mal di schiena, mal di stomaco e altri dolori che non hanno una ben chiara origine organica. In realtà è il nostro corpo che manda un segnale quando non vogliamo ascoltare cosa ci dice la nostra testa.
Come ci si libera dall’incubo di dover fare tutto e farlo bene?
La prima e senza dubbio più efficace strategia è quella di andare in terapia. Spesso l’idea d dover fare tutto e doverlo fare bene fa parte di una struttura mentale e di credenze che una mamma ha maturato lungo l’arco di tutta la sua vita. Questo vuol dire che scardinare quelle convinzioni e quel senso del dovere con cui siamo cresciute non è semplicemente un atto di volontà. Spesso cercare di liberarsi dall’idea di dover fare tutto è accompagnato da sensi di colpa e l’idea di non essere abbastanza valide perché alla fine “tutte” ci riescono (cosa che non vera). Suggerisco la terapia perché porta gli effetti più importati e a lungo termine. Certo, non tutte le mamme possono permettersi la psicoterapia ed ecco perché mi sento di dare alcuni suggerimenti più semplici ma altrettanto efficaci.
Fate rete, parlate con le vostre amiche, confrontatevi sulle vostre difficoltà. Capirete che non siete sole in questa situazione.
Fate pulizia sui social. Smette di seguire quelle persone che mandano messaggi sbagliati del tipo “se lo faccio io lo puoi fare anche tu”. Queste persone non faranno altro che accrescere l’idea di essere sbagliate.
Provate a non fare qualcosa (tipo stirare tutto, anche le mutande) e guardate che succede. È morto qualcuno? No! Imparate a scegliere e comprendere quali sono le cose indispensabili e quelle che non sono essenziali.
Il tuo lavoro sui social si fonda proprio su questo: liberare le madri dai sensi di colpa, accettare la possibilità di sbagliare senza farsi “soffocare” dalla maternità e dai figli. Quando è avvenuta la svolta?
Quando ho capito che io per prima ero stata ingabbiata in quelle idee di maternità perfetta e donna che se vuole può riuscire a ottenere tutto. Ho cominciato ad accorgermi che la realtà non era proprio così. Sentivo che ogni mia scelta in campo personale e professionale portava via del tempo ai miei figli e questa cosa mi faceva sentire profondamente inadeguata. Ho creduto allora che l’unica soluzione fosse quella di nascondere l’incapacità dedicandomi totalmente ai miei figli, pensando, anzi illudendomi, che così facendo avrei messo a tacere i miei sensi di colpa. La realtà era diversa: la mia idea di maternità dipendeva da quello che la società, si da quando ero piccola, mi aveva fatto credere, e cioè che ogni donna ha un istinto materno per natura, o che una donna riuscirà a sentirsi realizzata pienamente e completamente nella sua vita solo quando diventerà madre. Da psicologa, però, pensavo che sarei stata in grado di riconoscere e far fronte a tutte le difficoltà che mi si sarebbero presentate davanti.
Insomma, ti sei scontrata con la realtà.
Esatto, nel momento in cui mi sino resa conto che il solo prendermi cura dei miei figli non bastava, che loro non avevano completato la mia vita e che avevo smesso di amarmi perché mi ero fatta totalmente annullare dal mio ruolo materno. Quando ho capito che dovevo ai miei figli una mamma che non odia essere mamma ho capito che dovevo cominciare a lavorare seriamente su me stessa. Amo e ho sempre amato i miei figli con tutta l’anima, ma c’è stato un momento così buio in cui ho odiato quella che ero e quindi anche essere mamma. La svolta insomma è avvenuta quando ho toccato il fondo, più in basso di così non potevo andare. L’unica scelta che potevo fare era cominciare a risalire. La risalita non è stata facile, perché ho dovuto mettere in discussione tutte le mie convinzioni sulla mamma perfetta, sulla donna che ha una forza che non sa di avere, su tutte quelle storie del se vuoi puoi e sul fatto che l’amore per i figli ti rende più forte e capace di superare tutto. Queste convinzioni erano saldamente ancorate alla mia idea di mamma e donna di valore e metterle in discussione è stata mettere in discussione me stessa. Perché non me ne sono accorta prima di diventare mamma? Perché prima di diventare mamma non ero consapevole che tutte queste convinzioni e credenze mi appartenessero.
Come ti sei spiegata il successo del video su Tik Tok?
Si chiamava: “Sono una mamma sbagliata”, che liberazione in queste parole. Il concedersi di non essere perfette ma umane. Aprire il vaso di pandora e dire cose che in molte mamme pesano ma che hanno il coraggio di dire e alcune anche di sentire. Il successo di quel video è dovuto alla spaccatura che si è creata tra le “mamme sbagliate” e “le mamme perfette”. Ancora si fa molta difficoltà nel comprendere che l’esperienza umana è varia, e che spesso il nostro essere è plasmato dalle aspettative che abbiamo di riconoscimento sociale. Vogliamo essere valutate come le brave mamme, quelle che riescono a fare tutto e che gioiscono di ogni attimo della loro esperienza materna. Dire che non è sempre così, che le mamme sono prima di tutto donne e che amare i propri figli non può precludere dall’amare se stesse non è facilmente accettabile da tutti. L’idea di mamma perfetta è associata alla mamma che sacrifica tutto per i figli. Io ho semplicemente raccontato che sacrificare sé stesse per gli altri, inclusi i figli, non porta ad amare gli altri in modo autentico. Il sacrificio non deve più essere indice di amore. Solo amando noi stesse possiamo amare autenticamente gli altri, inclusi i nostri figli.
Quando hai imparato a fregartene del giudizio degli altri?
Quando ho smesso di giudicare me stessa in base a standard irrealistici. Ho imparato inoltre che non tutti la possono vedere come la vedo io e co sarà sempre qualcuno pronto a giudicarmi.
L’esperienza sui social sicuramente mi ha allenato in questo senso. E confrontarmi con gli haters mi ha resa ancora più convinta di fare quello che sto cercando di fare, ossia dare alle mamme la possibilità di riconoscersi in un modello reale di maternità e non solo in quello in cui siamo ingabbiate da secoli.
Che cosa ti scrivono e raccontano i tuoi follower?
In tante mi ringraziano per aver dato loro la possibilità di capire che non sono le sole a vivere certe emozioni ed esperienze. Altre mi raccontano le loro storie in modo liberatorio, felici di aver trovato dall’altra parte qualcuno che non le giudicherà. Mi raccontano spesso di quanto si sentono incomprese dalle persone intorno o della vergogna che provano nel vivere determinate emozioni e pensieri che in realtà sono normalissimi. ma di cui non si parla. Il filo comune spesso è la solitudine. Altre sono diventate amiche virtuali e le vedo che chiacchierano sotto i miei video. È questo il motivo per cui un anno fa ho aperto il mio profilo TikTok. Per dare modo alle donne di mettersi in connessione e comprendere che non siamo sole.
Quali i benefici di un carico mentale “bilanciato” e di fregarsene un po’ come stile di vita.
Una vita libera, una grandissima conquista. Essere sé stesse e dare il giusto valore alle cose, imparando a non fare tutto o fregarmene quando non riuscivo mi ha salvato. E poi ho imparato a condividere e non sentirmi sbagliata del tempo che prendo per me. Un pomeriggio sul divano guardare Netflix non ti attanaglia, la lavatrice la faccio domani.
Articolo di Benedetta Sangirardi