L’ansia di dover riuscire, a scuola, nello sport, lo stress di soddisfare le richieste della società, la pressione dei social che propone modelli irraggiungibili. Una psicoterapeuta ci aiuta a capire come cambiare rotta e aiutare gli adolescenti a vivere anni sereni
Sentono tutto lo stress che gli trasmettiamo. Devono essere bravi, gentili, educati, eccellenti a scuola, riuscire nello sport. Al primo posto, il secondo va anche bene ma comunque si può migliorare. Soprattutto, non si sentono ascoltati. Per lavoro, ho la fortuna di parlare con parecchi adolescenti, ed è questo che sentono: l’ansia di dover soddisfare le richieste dei genitori, farli felici, renderli soddisfatti e fieri di come sono. Ma chi l’ha detto che poi questo renda felici (anzi sereni) loro?
Qualche mese fa ho intervistato due ragazzi di prima liceo per un servizio sulla Generazione Z.
Per che cosa ti arrabbi di più?, ho chiesto loro. «Quando i miei genitori mi dicono di essere distaccato, menefreghista, di stare sempre sui social e non avere interessi. E invece io faccio mille cose fuori dal web», ha raccontato Mauro. E Margherita invece ha risposto: «Quando parlo con i miei e loro guardano il telefono. Cioè molto spesso. Non ascoltano, davvero». Secondo un recente sondaggio il 68% dei ragazzi si sente un buon figlio ma dice che potrebbe essere migliore. Il problema è proprio questo: rispettare le aspettative (alte) dei genitori per i ragazzi è una priorità, e d’altro canto un problema. Una pressione che gli comporta una grande, enorme fatica e frustrazione. Dover dare e dimostrare di più, perché l’abbastanza non basta. Perché lo chiedono mamma e papà, ma anche gli insegnanti, tra voti e verifiche e pochi “come stai oggi?”. Perché i social fanno la loro parte, sbandierando modelli di successo, all’apparenza, e solo all’appartenenza, belli, ricchi, felici e irraggiungibili, che non fanno bene all’autostima.
Un peccato la disistima, lo stress emotivo così pesante su un’intera generazione, una delle più in gamba di sempre, che sente tutto il peso di quello che la società gli chiede, senza che poi la società stessa si preoccupi realmente del suo futuro. Che fare per cambiare rotta e farli vivere in modo più sereno lo abbiamo chiesto a Marina Zanotta, psicoterapeuta dell’età evolutiva.
Lei lavora con gli adolescenti, li incontra, li ascolta. Come stanno? Che cosa le raccontano?
Sufficientemente bene. Dopo gli anni di pandemia più stretta stanno ricominciando a frequentare il mondo e a riprendere in mano la possibilità di recuperare i compiti evolutivi su cui avevano ricevuto una forte battuta d’arresto. Certo, sono molto preoccupati dal futuro che li aspetta, tra guerre, crisi climatiche e riconoscimento dei diritti umani, ma sta ricomparendo la voglia di rimettersi in gioco tipica di quella fascia evolutiva.
La frase che le ripetono più spesso?
“Sei un boomer!” Frase che racchiude a pieno il giusto divario generazionale tra loro e il mondo adulto che, diciamocelo, inizia seriamente ad essere desueto ai loro occhi!
Chiediamo troppo ai nostri ragazzi? Le aspettative alte di genitori, scuola, società in che modo stanno influendo sul loro benessere?
Gli adulti hanno il pessimo vizio di sottostimare le reali competenze dei ragazzi e questo li porta a fare, al contrario, delle domande di ingaggio centrate su compiti “banali”, come l’andare bene a scuola, e molto spesso si dimenticano di guardarli da vicino quanto basta per potersi accorgere di quanto i ragazzi valgono e quanto possono dare.
L’errore che compiamo più spesso noi genitori?
Fare in modo che ci accontentino. Gli adolescenti di oggi sono estremamente educati e rispettosi nei confronti degli adulti, quindi accettano di poter stare al nostro livello e battagliare con noi sul 4 in latino, quando, invece, avrebbero una gran voglia di parlarci di ciò che hanno pensato sul tema del riconoscimento dei diritti LGBTQ+.
Che idea si è fatta del caso Carlotta Rossignoli, la ragazza di 23 anni laureata in medicina in tempo record, che ha raccontato di quanto abbia tralasciato le relazioni per dedicarsi allo studio? Al centro dell’attenzione mediatica da giorni, è questo il modello da “presentare” ai figli come vincente?
Del caso Rossignoli ho poco da dire: non conosciamo la ragazza e la sua vera storia, e ho il sospetto che molto di ciò che lei ha dichiarato sui social le si sia rivoltato contro in un modo che nemmeno lei si aspettava. Per poter formulare un pensiero coerente bisognerebbe prendersi il tempo di parlare con lei e di ascoltare senza pregiudizi ciò che davvero ha da dire. Al contrario, però, credo sia proprio la costante ricerca da parte di noi adulti di “modelli da proporre” a creare la parte più disfunzionale nella crescita dei ragazzi: offriamo loro modelli che ricalcano il nostro stile di pensiero, non il loro.
Nativi digitali, non possiamo impedirgli di entrare nel web e esplorare il mondo anche lì dentro: che ruolo stanno avendo i social nel farli sentire più o meno adatti?
I ragazzi di oggi usano i social in modo molto diverso da prima, e su questo c’entra la pandemia. Hanno imparato a utilizzare i social come sostituto delle relazioni dirette da pari anche perché sono rimasti bloccati per troppo tempo. È questo che ne ha viziato l’utilizzo: avere tanti follower vuol dire, dal loro punto di vista, il non correre il rischio di rimanere soli, soprattutto perché è più facile cercare e trovare velocemente contatti anche in base ad aree di interesse. Purtroppo, però, le relazioni virtuali non possono essere sostitutive delle relazioni reali, dove ci si incontra di persona e si impara a conoscersi e ad apprezzarsi per come si è.
La questione social e autostima influisce più sulle ragazze?
No, non è mai stato così; tutti i fenomeni legati all’utilizzo corretto o corretto dei social riguardano l’adolescenza in generale e non si focalizzano su un singolo genere.
Come spiegare ai figli adolescenti che i modelli irraggiungibili proposti sui social sono nocivi e lontani dalla realtà?
Forse dovremmo rivedere noi adulti per primi i concetti di “irraggiungibilità” e “nocività” di alcuni modelli: i social sono una vetrina in cui ciascuno può indossare la maschera che preferisce e presentarsi al mondo come una potenziale divinità. La realtà è e rimane sempre privata, bisogna imparare a non confondere i piani, ma su questo passaggio siamo molto più “esperti” noi adulti rispetto a loro; per poter educare i ragazzi dovremmo prima farci un bell’esame di coscienza personale su come usiamo noi social, comunicazione e modelli mediatici!
Frustrati, arrabbiati, delusi, incontro tanti ragazzi per lavoro e mi raccontano di sentirsi gli ultimi della coda. Che cosa fare per rimetterli al centro della nostra attenzione e investire su di loro?
Dovremmo smettere di guardare solo al nostro ombelico adulto e alzare lo sguardo su di loro, imparando ad ascoltarli, perché hanno tantissime cose da dire, e ricordando a noi stessi che sono loro il nostro futuro e che stanno già iniziando a costruirlo. Fare finta che non siano degni di attenzione non è un approccio molto furbo.
L’ascolto è il tema centrale. “A scuola il prof non mi ascolta, pensa solo alle verifiche, a casa i miei sono troppo indaffarati tra organizzazione familiare e lavoro”. Lei che ne pensa: siamo nel mezzo di una pandemia dell’ascolto?
No, siamo nel mezzo di una pesante fase di miopia degli adulti: continuiamo a proporre loro obiettivi e target che non gli appartengono e che, semplicemente, non guardiamo oltre alla punta del nostro naso, ovvero verso ciò che per loro è punto di interesse o obiettivo di spazi di crescita personale.
Le cronache raccontano di baby gang che agiscono a scuola contro i prof, o di casi di bullismo. Non crede che dovremmo anche cambiare la narrazione dei ragazzi, spesso giudicati senza vederne gli aspetti più positivi?
Penso che molto dipenda dalla situazione: agiti delle baby gang e casi di bullismo sono situazioni evidentemente negative e che non dipendono dalla narrazione che viene fatta sui ragazzi, ma da situazioni di malessere personale e/o relazionale che sfociano in comportamenti aggressivi e devianti. In questi casi si parla di patologia dell’adolescenza, non di adolescenza fisiologia “raccontata male”. È, però, altrettanto vero che il nostro sguardo spesso si dimentica di voltarsi anche in direzione della parte più positiva dell’essere adolescenti oggi: ovvero avere il coraggio di affrontare l’universo adulto per costruirsi un’identità possibile e trovare il proprio posto nel mondo.
Si sentono continuamente giudicati, quasi in un’apnea emotiva con l’idea che debbano dimostrare di più, e ancora di più. Che cosa devo fare genitori e educatori per invertire la rotta e farli vivere anni sereni?
Smettere di stargli addosso e ricominciare a occupare il luogo in cui dovremmo fisiologicamente trovarci nell’accompagnare i figli in adolescenza: un passo indietro rispetto a loro. Consiglio il libro Gli sdraiati di Michele Serra. Gli adulti sono quelli che restano in fondo al sentiero e li guardano arrivare da soli alla cima, non quelli che obbligano i figli a percorrere la strada che loro hanno scelto o tracciato.
Il messaggio per dargli coraggio?
Il futuro è vostro, noi adulti ne siamo gelosi, ma sappiamo già che non può appartenerci. Non abbiate timore di afferrarlo a piene mani e renderlo il vostro capolavoro generazionale.
Articolo di Benedetta Sangirardi
in collaborazione con Marina Zanotta, psicoterapeuta dell’età evolutiva