Alessandro, di Gragnano, ha scelto di morire a soli 13 anni. Le indagini sono tutt’ora in corso ma vien da chiedersi perché? Davvero cyberbullismo? Sono davvero così fragili i giovani d’oggi da essere portati a compiere gesti estremi? Perchè non riescono a tollerare un addio, una sconfitta o una delusione? Ne abbiamo parlato con la psicologa monzese Marina Zanotta.
Alessio è seduto di fronte a me e mi racconta, sconsolato, della sua estate che, a suo dire, “è stato un vero schifo”: era spensieratamente al mare con i suoi genitori quando è stato scaricato dalla fidanzatina con un vocale di whatsapp. Da quel momento tutto è diventato orribile e lui si è chiuso nella tenda del campeggio per i quattro giorni successivi, rifiutandosi persino di andare in spiaggia. Poco importa che il resto dell’estate sia stato positivo, quei quattro giorni sono stati più che sufficienti per fargli definire “uno schifo” l’intero periodo delle vacanze. Ma come è possibile che, proprio nella fascia della preadolescenza o dell’adolescenza basti così poco per azzerare il bello della vita? Come è possibile che siano in grado di passare, alla velocità di un vocale di whatsapp, dall’essere dei giramondo festaioli al chiudersi in una tenda, possibilmente in una penombra costante e con le cuffie nelle orecchie per non sentire nemmeno i propri pensieri? Ma, soprattutto, sono davvero così fragili e incapaci di tollerare la frustrazione i nostri ragazzi, al punto da rendere possibili tragedie come quella di Gragnano avvenuta a inizio settembre?
Per poter rispondere al meglio, bisognerebbe avventurarsi nelle sconfinate pianure della terra di mezzo della preadolescenza, periodo di grandi rivoluzioni personali, sociali, biologiche e relazionali, che portano i ragazzi ad avere degli scatti di crescita fenomenali (mi capita spesso di cambiare frequentemente il punto di osservazione dei miei pazienti, ma nel senso letterale del dover passare a guardarli dall’alto in basso al dovermi far venire il torcicollo per intercettare il loro sorriso) in cui, però, lo sviluppo del fisico non è mai al passo con lo sviluppo psicoemotivo, ed è lì che si instaurano i principali fattori di rischio di questa fase di sviluppo!
In preadolescenza e in adolescenza capita spessissimo di assistere a delle vere e proprie rappresentazioni di drammi emotivi in cui i ragazzi e le ragazze passano tutta la sfera delle emozioni principali e secondarie nel giro di un quarto di millesimo di secondo e questa impossibilità di modulare correttamente le emozioni influisce inevitabilmente sia con il modo di vedere e vivere le sfide della vita quotidiana, sia sulle modalità comportamentali con cui reagiscono.
Si passa così dal cantare a squarciagola l’ultimo pezzo del proprio cantante preferito, al chiudersi in una camera semibuia a fissare il soffitto; dal chiedere di uscire di casa con le amiche al non voler vedere nessuno per ore o per giorni e…sì, c’è più di una spiegazione a tutto questo e, spoiler, nessuna di queste coincide con pigrizia/svogliatezza/doti recitative da oscar.
Complice di questa enorme altalena emotiva è proprio la fase di sviluppo che stanno vivendo, che è responsabile di alcuni cambiamenti biologici fondamentali in grado di azzerare in un colpo solo la loro capacità di vivere le emozioni in modo pacato e “socialmente adeguato” tra cui l’avvio della pubertà e la messa in moto dei cambiamenti ormonali e fisici di adolescenza e preadolescenza, portano ad uno scombussolamento generale a livello fisico che costringono i ragazzi a dover fare i conti con un corpo che sfugge al loro controllo e che, improvvisamente, diventa argomento di discussione e accettazione da parte del gruppo dei pari, esponendoli all’altissimo rischio di non essere accolti o accettati. A tutto questo si aggiunge l’avvio della maturazione di alcune aree della corteccia cerebrale legate proprio alla gestione delle emozioni e delle funzioni esecutive, ovvero alla capacita di organizzare in modo efficiente il proprio viversi nel mondo; avvio che presuppone il fatto che i ragazzi siano molto più portati a provare intensamente e a riconoscere le emozioni che provano, senza avere ancora sviluppato biologicamente le aree della corteccia cerebrale che permettono loro di modularle o di avere il senso del limite (la corteccia prefrontale, amigdala e sistema limbico). Le montagne russe emotive, gli scoppi d’ira improvvisi e la percezione di sentirsi emotivamente fuori controllo derivano esattamente da qui!
La fase di maturazione delle aree del cervello sopra citate e la necessità di costruirsi una nuova identità legata a tutti gli altri cambiamenti, rendono i preadolescenti e gli adolescenti delle creature assolutamente impulsive. Nel loro universo sociale e personale mancano le parole adulte per descrivere chi siano e cosa accada loro e il modo più efficace per esprimersi diventano le azioni, o agiti.
La mancanza del senso del limite spiegata sopra e il vivere le emozioni in modo così intenso possono trasformarsi in notevoli fattori di rischio, soprattutto se la realtà sociale e culturale che li circonda non agisce in loro supporto o, addirittura, lavora in negativo al punto da spingerli anche oltre il limite tra la vita e la morte.
È così che uno scatto d’ira può scatenare una pioggia di messaggi aggressivi, al punto da trasformare dei compagni di classe in veri e propri esecutori di episodi di bullismo o cyberbullismo; è così che chi li riceve arriva a percepire un carico di odio e di aggressività talmente violenti da farli stare male, un malessere che, se non trova parole per esprimersi, può trasformarsi in ritiro sociale, atti di autolesionismo o tentativi di suicidio. È per lo stesso identico motivo che un preadolescente qualsiasi può accettare dall’oggi al domani la sfida di camminare su un cornicione, scivolare accidentalmente e precipitare nel vuoto.
L’osservatorio dell’OMS su preadolescenza ed adolescenza parla davvero molto chiaro: nelle prime 5 cause di morte dei ragazzi in età adolescenziale, oltre a malattie organiche e incidenti stradali, ci sono “eventi accidentali” e suicidio.
Anche se gli anni di pandemia hanno contribuito a creare grosse lacune nella capacità e nella possibilità di frequentare i gruppi di coetanei, da sempre preadolescenza ed adolescenza sono caratterizzate dalla necessità di ridefinire la propria identità ed essere accolti e accettati in società; per questo motivo il gruppo dei pari diventa, dalle scuole medie in avanti, la principale ragione di esistenza di preadolescenti ed adolescenti e ciò che succede al suo interno ha la possibilità di influenzare enormemente lo sviluppo personale e la salute psicofisica dei ragazzi.
Così come un gruppo dei pari accogliente, supportivo e in grado di tessere al suo interno una buona rete di relazioni positive può funzionare da fattore protettivo per affrontare le sfide della vita quotidiana, altrimenti percepibili come inaffrontabili; allo stesso modo, un gruppo dei pari aggressivo, disprezzante o giudicante può fungere da fattore di rischio per la crescita serena dei ragazzi. Il punto è che, come ovvio, nessun gruppo di coetanei decide arbitrariamente chi vuole essere e come comportarsi con i suoi partecipanti; è, a sua volta, spinto e modellato dalle pressioni della società e della cultura in cui è inserito ed è fortemente influenzato dal benessere e dal malessere personale dei singoli ragazzi che lo frequentano.
Per loro e nostra fortuna non è assolutamente così. Preadolescenza e adolescenza sono due tappe di sviluppo delicate, che portano i ragazzi a sperimentare stati di fragilità importanti, ma anche la scoperta di nuove potenzialità e competenze sul piano personale, relazionale e sociale, ed è proprio questa alternanza il motore chiave che li spinge a crescere e a costruirsi un loro futuro possibile.
Il fatto, però, di vederli “ già grandi” non deve trarci in inganno sul costante ruolo che la comunità educante può, e dovrebbe avere, nei confronti della tutela e della promozione del benessere favorevole ad una sana crescita psicofisica. Come? Basterebbe davvero poco: un adulto che osserva e sa cogliere le diverse sfumature di silenzio del proprio figlio e che chiede un semplice “come va?” sapendo già che la risposta “tutto bene!” non è quella reale, ma si fa trovare lì accanto al ragazzo in caso di necessità. Basterebbero politiche di welfare in grado di promuovere nelle scuole interventi di prevenzione per il bullismo e per i comportamenti trasgressivi per accendere nei ragazzi la curiosità di saperne di più sia sul come evitare che certi fenomeni si presentino, sia sul come reagire correttamente in caso di necessità. Basterebbe smettere di sminuire l’importanza della salute mentale e avere il coraggio di riconoscere i segnali di aiuto per offrire uno spazio di ascolto in grado di affiancare i ragazzi nelle legittime fragilità del loro camminare in una terra di mezzo sconosciuta, dove non si è più bambini, ma dove l’essere grandi è ancora una meta da raggiungere e dove un temporale passeggero può spaventare più di quanto immaginiamo.
Fortunatamente il sole è sempre nascosto dietro le nuvole.
Marina Zanotta è Psicologa e Psicoterapeuta specializzata in genitorialità ed età evolutiva; è la responsabile dell’area materno infantile di Associazione Alice Onlus di Milano. È autrice per Rizzoli con due pubblicazioni nella collana BUR Parenting: Stiamo Calmi (BUR, 2020) e A fare da soli si impara (BUR, 2021).